sabato 22 ottobre 2011

DOPO LA GLOBALIZZAZIONE?.molte risposte.

DOPO LA GLOBALLIZZAZIONE

[Storia e Politica] DI MASSIMILIANO PANARARI

da Il Messaggero del 9 settembre 2002




Anthony Giddens




Amartya Sen. Photo by Kris Snibbe, courtesy of Harvard University News Office
( da http://www.bu.edu )





Jeremy Rifkin




Zygmunt Bauman




Martha Nussbaum




Manuel Castells
Da qualche tempo si è fatta strada una pattuglia di filosofi e pensatori di vario orientamento che ha elevato la globalizzazione a categoria di interpretazione della realtà contemporanea, ed appare pronta a lasciare un segno sulla cultura degli anni a venire.
Ad unire questi personaggi, estremamente diversi, è una serie di connotati comuni. L'interdisciplinarietà, in grado di produrre quanto chiameremo il pensiero orizzontale o "della contaminazione", declinando insieme - dunque, orizzontalmente - utensili concettuali provenienti dall'epistemologia piuttosto che dalla semiologia, dalle "tecnologie dell'informazione" anziché dalla geografia urbana o antropologica. Il ritorno di un pensiero forte, deciso a raccogliere senza esitazioni le sfide lanciate dall'età globale per fornire delle risposte di carattere sistemico. Il cosmopolitismo delle loro esperienze private, divenuto per questi intellettuali famosi e riveriti, al pari dei protagonisti della finanza internazionale e dello star-system dello spettacolo, niente più di un villaggio, per l'appunto globale. E, soprattutto, il ragionamento sulla mondializzazione, che diventa finalmente l'oggetto centrale di una speculazione di carattere filosofico e non solo, intrisa di "meticciato culturale".
Eccone una galleria.
Proglobal (o gli euforici). Un nome per tutti: quello di Anthony Giddens, celebre sociologo, rettore della prestigiosa London School of Economics e consigliere principe del primo ministro inglese in carica, teorico della globalizzazione quale fenomeno dalle potenzialità emancipatrici. Vicino a lui, si collocano gli altri intellettuali che hanno forgiato il pensiero del New Labour. Dai politologi David Marquand e Geoff Mulgan sino allo studioso di relazioni internazionali David Held ed al giornalista David Goodhart, in gran parte firme di Prospect, la rivista simbolo della cultura lib-lab inglese.
Proglobal pentiti. Non è tutto oro quel che luccica nella globalizzazione, anzi... È quanto affermano alcuni pensatori, partiti da posizioni proglobal per ritrovarsi poi sempre più critici verso talune dinamiche nefaste della mondializzazione. L'economista e filosofo indiano Amartya Sen, premio Nobel per l'Economia nel '98 e rettore del Trinity College di Cambridge, esempio eccellente di integrazione tra la cultura occidentale e quella asiatica, insiste da tempo sull'esigenza di favorire la crescita materiale e, specialmente, morale degli individui. Il sociologo tedesco Ulrich Beck, docente a Monaco e presso la londinese Lse, ha introdotto la nozione di "società del rischio" per descrivere il mondo occidentale post-industriale. In tutti gli ambiti, dalla vita lavorativa alla sfera affettiva, si apre per l'individuo post-moderno il vasto orizzonte delle possibilità, generatore di opportunità, ma anche, e soprattutto, di incertezza.
No global. Toni Negri, già "cattivo maestro" dell'Autonomia operaia, è l'autore, insieme a Michael Hardt, di Impero, salutato dalla stampa internazionale come la "bibbia dell'antiglobalizzazione". Il pianeta teatro dello scontro tra l'Impero, ultima forma assunta dal potere dell'età globale, e le moltitudini, costituisce, per alcuni, il nucleo centrale della "teoria filosofica dei nuovi tempi". Ascrivibili alla categoria dei critici più radicali della globalizzazione sono poi la giovane economista britannica Noreena Hertz, ribattezzata la "nuova Naomi Klein", acerrima avversaria delle multinazionali; l'americano Jeremy Rifkin, l'eclettico presidente della Foundation on Economic Trends di Washington, e l'intellettuale per eccellenza del popolo di Seattle, Riccardo Petrella, il docente no global di economia sociale dell'università cattolica di Lovanio, presidente del Comitato mondiale per l'acqua.
I contestatori new global. Stimati accademici davvero cosmopoliti, i "contestatori" non esitano a lanciarsi in violenti atti d'accusa contro l'ordine del mondo stabilito dal capitalismo del "medioevo neoliberale". I sociologi Zygmunt Bauman, Richard Sennett, Saskia Sassen e l'antropologo culturale Arjan Appadurai indagano le categorie della tarda modernità con acutezza. Narrano la condizione umana nelle gigantesche "città globali", la rivoluzione in atto nelle nozioni di spazio, tempo e classe sociale, il difficile equilibrio tra identità e differenze etniche nel pianeta mondializzato, come pure l'inservibilità dello Stato-nazione soppiantato dalla foresta di soggetti transnazionali di varia natura, la flessibilità quale paradigma doloroso e lacerante del vivere odierno.
I civico-politici. Alla ventilata scomparsa della politica dall'orizzonte di un pianeta globale egemonizzato dalle forze dell'economia si deve imputare anche il ritorno della filosofia politica, che intende rifondare le categorie di cittadinanza e democrazia in epoca postmoderna e multiculturale. La statunitense Martha Nussbaum viene considerata una delle artefici del "ritorno ad Aristotele" nell'ambito della cultura contemporanea, nel nome della giustizia sociale e del recupero delle nozioni di virtù e bene comune. L'israeliano Avishai Margalit, fautore del dialogo con i palestinesi, è il teorico della "società decente", ovvero di un consesso sociale nel quale le istituzioni si sforzano di garantire la dignità e la non umiliazione dei propri componenti. Il brasiliano Roberto Mangabeira Unger, filosofo del diritto, esponente di punta del movimento dei Critical Legal studies, è il teorico di una raffinata forma di psicologia politica e di un modello di Stato neocostruttivista e neointerventista. L'americano Michael Walzer, direttore della celebre rivista Dissent, è l'alfiere di una versione riveduta del neocomunitarismo, fondata sulle "sfere di giustizia" (sociale, ma non solo). Lo scienziato della politica americano Benjamin Barber, docente alla Rutgers University, è uno studioso dei problemi della cittadinanza ed un osservatore alquanto critico delle conseguenze negative che il fondamentalismo, da un lato, ed il mercato globale senza regolamentazioni, dall'altro, producono sulla qualità della vita democratica.
I post-postmoderni. Tra i pensatori orizzontali si delinea una composita pattuglia di personaggi passati tutti attraverso un serrato confronto con la fase postmodernista degli anni Ottanta, poi lasciata alle spalle. Si tratta dei "post-pomo" (o "post-postmoderni). Il tedesco Peter Sloterdijck, docente di Estetica e Filosofia a Vienna e Karlsruhe, è un intellettuale provocatorio e neo-nietzscheano di grande notorietà. "Critico della ragione cinica" e poi impietoso narratore della "riforma genetica della specie" in atto, Sloterdijck si presenta ora come un brillantissimo genealogista della globalizzazione. Donna J. Haraway, filosofa della scienza, vedette della teoria femminista e docente presso l'università di Santa Cruz in California, si presenta come una critica feroce del paradigma scientifico - maschile ed antropocentrico - egemone. Animalista ed antirazzista e impegnata, è la creatrice di immaginifiche metafore che compendiano l'evoluzione del suo pensiero neomaterialista. Ai suoi antipodi si trova il politologo nippoamericano Francis Fukuyama, membro di influenti think-tanks conservatori e, da ultimo, nominato da Bush nel Comitato federale sulla bioetica. Celebre grazie alla sua teoria neohegeliana sulla "fine della storia", Fukuyama, timoroso di un "futuro post-umano", sposa la difesa a oltranza dell'economia capitalistica con la salvaguardia della nostra specie, minacciata dall'ingegneria genetica.
I cyber (i "pensatori digitali" oppure i "net-thinkers"). Innamorati della California e intenti a mostrarci quanto il pensiero dell'età della globalizzazione sia debitore della Rete delle reti, sono i "cyberpensatori" (o "pensatori digitali"). Il sociologo catalano Manuel Castells, il Max Weber della Network Society, colui che si sforza con maggiore potenza di pensiero di disegnare i contorni epistemologici della vita ai tempi di Internet e della globalizzazione. Il filosofo finlandese Pekka Himanen, docente a Helsinki e Berkeley, inventore di quell’“etica hacker" che dovrebbe coniugare finalmente creatività, spirito di condivisione e professionalità. E spunta anche un francese: Pierre Lévy, l'epistemologo che dirige il dipartimento Hypermédia della Sorbona. Fantasioso "antropologo del cyberspazio", invita il genere umano ad avvalersi politicamente delle straordinarie opportunità offerte dalle nuove tecnologie per rifondare la democrazia in maniera più giusta e consentire ad ogni individuo di esprimere le proprie potenzialità.

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