DOPO LA GLOBALLIZZAZIONE | |
[Storia e Politica] | DI MASSIMILIANO PANARARI |
da Il Messaggero del 9 settembre 2002
Anthony Giddens Amartya Sen. Photo by Kris Snibbe, courtesy of Harvard University News Office ( da http://www.bu.edu ) Jeremy Rifkin Zygmunt Bauman Martha Nussbaum Manuel Castells |
Da qualche tempo si è fatta strada
una pattuglia di filosofi e pensatori di vario orientamento che ha elevato la
globalizzazione a categoria di interpretazione della realtà contemporanea, ed
appare pronta a lasciare un segno sulla cultura degli anni a venire.
Ad unire questi personaggi, estremamente diversi, è una serie di connotati comuni. L'interdisciplinarietà, in grado di produrre quanto chiameremo il pensiero orizzontale o "della contaminazione", declinando insieme - dunque, orizzontalmente - utensili concettuali provenienti dall'epistemologia piuttosto che dalla semiologia, dalle "tecnologie dell'informazione" anziché dalla geografia urbana o antropologica. Il ritorno di un pensiero forte, deciso a raccogliere senza esitazioni le sfide lanciate dall'età globale per fornire delle risposte di carattere sistemico. Il cosmopolitismo delle loro esperienze private, divenuto per questi intellettuali famosi e riveriti, al pari dei protagonisti della finanza internazionale e dello star-system dello spettacolo, niente più di un villaggio, per l'appunto globale. E, soprattutto, il ragionamento sulla mondializzazione, che diventa finalmente l'oggetto centrale di una speculazione di carattere filosofico e non solo, intrisa di "meticciato culturale". Eccone una galleria.
Proglobal (o gli euforici). Un
nome per tutti: quello di Anthony Giddens, celebre sociologo, rettore della
prestigiosa London School of Economics e consigliere principe del primo ministro
inglese in carica, teorico della globalizzazione quale fenomeno dalle
potenzialità emancipatrici. Vicino a lui, si collocano gli altri intellettuali
che hanno forgiato il pensiero del New Labour. Dai politologi David Marquand e
Geoff Mulgan sino allo studioso di relazioni internazionali David Held ed al
giornalista David Goodhart, in gran parte firme di Prospect, la rivista simbolo
della cultura lib-lab inglese.
Proglobal pentiti. Non è tutto
oro quel che luccica nella globalizzazione, anzi... È quanto affermano alcuni
pensatori, partiti da posizioni proglobal per ritrovarsi poi sempre più critici
verso talune dinamiche nefaste della mondializzazione. L'economista e filosofo
indiano Amartya Sen, premio Nobel per l'Economia nel '98 e rettore del Trinity
College di Cambridge, esempio eccellente di integrazione tra la cultura
occidentale e quella asiatica, insiste da tempo sull'esigenza di favorire la
crescita materiale e, specialmente, morale degli individui. Il sociologo tedesco
Ulrich Beck, docente a Monaco e presso la londinese Lse, ha introdotto la
nozione di "società del rischio" per descrivere il mondo occidentale
post-industriale. In tutti gli ambiti, dalla vita lavorativa alla sfera
affettiva, si apre per l'individuo post-moderno il vasto orizzonte delle
possibilità, generatore di opportunità, ma anche, e soprattutto, di
incertezza.
No global. Toni Negri, già
"cattivo maestro" dell'Autonomia operaia, è l'autore, insieme a Michael Hardt,
di Impero, salutato dalla stampa internazionale come la "bibbia
dell'antiglobalizzazione". Il pianeta teatro dello scontro tra l'Impero, ultima
forma assunta dal potere dell'età globale, e le moltitudini, costituisce, per
alcuni, il nucleo centrale della "teoria filosofica dei nuovi tempi".
Ascrivibili alla categoria dei critici più radicali della globalizzazione sono
poi la giovane economista britannica Noreena Hertz, ribattezzata la "nuova Naomi
Klein", acerrima avversaria delle multinazionali; l'americano Jeremy Rifkin,
l'eclettico presidente della Foundation on Economic Trends di Washington, e
l'intellettuale per eccellenza del popolo di Seattle, Riccardo Petrella, il
docente no global di economia sociale dell'università cattolica di Lovanio,
presidente del Comitato mondiale per l'acqua.
I contestatori new global.
Stimati accademici davvero cosmopoliti, i "contestatori" non esitano a lanciarsi
in violenti atti d'accusa contro l'ordine del mondo stabilito dal capitalismo
del "medioevo neoliberale". I sociologi Zygmunt Bauman, Richard Sennett, Saskia
Sassen e l'antropologo culturale Arjan Appadurai indagano le categorie della
tarda modernità con acutezza. Narrano la condizione umana nelle gigantesche
"città globali", la rivoluzione in atto nelle nozioni di spazio, tempo e classe
sociale, il difficile equilibrio tra identità e differenze etniche nel pianeta
mondializzato, come pure l'inservibilità dello Stato-nazione soppiantato dalla
foresta di soggetti transnazionali di varia natura, la flessibilità quale
paradigma doloroso e lacerante del vivere odierno.
I civico-politici. Alla
ventilata scomparsa della politica dall'orizzonte di un pianeta globale
egemonizzato dalle forze dell'economia si deve imputare anche il ritorno della
filosofia politica, che intende rifondare le categorie di cittadinanza e
democrazia in epoca postmoderna e multiculturale. La statunitense Martha
Nussbaum viene considerata una delle artefici del "ritorno ad Aristotele"
nell'ambito della cultura contemporanea, nel nome della giustizia sociale e del
recupero delle nozioni di virtù e bene comune. L'israeliano Avishai Margalit,
fautore del dialogo con i palestinesi, è il teorico della "società decente",
ovvero di un consesso sociale nel quale le istituzioni si sforzano di garantire
la dignità e la non umiliazione dei propri componenti. Il brasiliano Roberto
Mangabeira Unger, filosofo del diritto, esponente di punta del movimento dei
Critical Legal studies, è il teorico di una raffinata forma di psicologia
politica e di un modello di Stato neocostruttivista e neointerventista.
L'americano Michael Walzer, direttore della celebre rivista Dissent, è l'alfiere
di una versione riveduta del neocomunitarismo, fondata sulle "sfere di
giustizia" (sociale, ma non solo). Lo scienziato della politica americano
Benjamin Barber, docente alla Rutgers University, è uno studioso dei problemi
della cittadinanza ed un osservatore alquanto critico delle conseguenze negative
che il fondamentalismo, da un lato, ed il mercato globale senza
regolamentazioni, dall'altro, producono sulla qualità della vita
democratica.
I post-postmoderni. Tra i
pensatori orizzontali si delinea una composita pattuglia di personaggi passati
tutti attraverso un serrato confronto con la fase postmodernista degli anni
Ottanta, poi lasciata alle spalle. Si tratta dei "post-pomo" (o
"post-postmoderni). Il tedesco Peter Sloterdijck, docente di Estetica e
Filosofia a Vienna e Karlsruhe, è un intellettuale provocatorio e
neo-nietzscheano di grande notorietà. "Critico della ragione cinica" e poi
impietoso narratore della "riforma genetica della specie" in atto, Sloterdijck
si presenta ora come un brillantissimo genealogista della globalizzazione. Donna
J. Haraway, filosofa della scienza, vedette della teoria femminista e docente
presso l'università di Santa Cruz in California, si presenta come una critica
feroce del paradigma scientifico - maschile ed antropocentrico - egemone.
Animalista ed antirazzista e impegnata, è la creatrice di immaginifiche metafore
che compendiano l'evoluzione del suo pensiero neomaterialista. Ai suoi antipodi
si trova il politologo nippoamericano Francis Fukuyama, membro di influenti
think-tanks conservatori e, da ultimo, nominato da Bush nel Comitato federale
sulla bioetica. Celebre grazie alla sua teoria neohegeliana sulla "fine della
storia", Fukuyama, timoroso di un "futuro post-umano", sposa la difesa a
oltranza dell'economia capitalistica con la salvaguardia della nostra specie,
minacciata dall'ingegneria genetica.
I cyber (i "pensatori digitali"
oppure i "net-thinkers"). Innamorati della California e intenti a mostrarci
quanto il pensiero dell'età della globalizzazione sia debitore della Rete delle
reti, sono i "cyberpensatori" (o "pensatori digitali"). Il sociologo catalano
Manuel Castells, il Max Weber della Network Society, colui che si sforza con
maggiore potenza di pensiero di disegnare i contorni epistemologici della vita
ai tempi di Internet e della globalizzazione. Il filosofo finlandese Pekka
Himanen, docente a Helsinki e Berkeley, inventore di quell’“etica hacker" che
dovrebbe coniugare finalmente creatività, spirito di condivisione e
professionalità. E spunta anche un francese: Pierre Lévy, l'epistemologo che
dirige il dipartimento Hypermédia della Sorbona. Fantasioso "antropologo del
cyberspazio", invita il genere umano ad avvalersi politicamente delle
straordinarie opportunità offerte dalle nuove tecnologie per rifondare la
democrazia in maniera più giusta e consentire ad ogni individuo di esprimere le
proprie potenzialità.
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sabato 22 ottobre 2011
DOPO LA GLOBALIZZAZIONE?.molte risposte.
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